Foglio n.5
di Melissa Di Genova
Se esiste un posto assolutamente inappropriato per ideare, strutturare, sviluppare e mettere in pratica un laboratorio teatrale… quel luogo, per l’artista, è la scuola. Almeno quella di oggi, quella conosciuta da me.
La prima volta che ho messo piede in una scuola era il 1988 e di quel momento ho un ricordo confuso, ovviamente, ma piacevole. Ricordo le recite scolastiche, le maestre, le canzoni. In fondo, per una bimba di sei anni era piacevole. Laboratori di teatro? No, non alle elementari, non alle medie. Al liceo? Sì! Quelli sì, li ricordo vividamente. Il teatro a scuola è stato, per buona parte della mia crescita, tutto opera e missione delle maestre, delle educatrici. Spazio per i professionisti del settore non ce n’era.
Oggi, invece, i laboratori di teatro nelle scuole fanno parte delle tantissime attività che un Istituto di formazione offre ai suoi studenti: si parte già dalla scuola dell’infanzia. Insomma, gli scolari di oggi sono fortunati! Pure gli esperti! PON, PORF, POF, Scuola viva, Scuole aperte: fondi, fondi, fondi, fondi! Per la scuola; per le attività extra-curriculari; per gli esperti che finalmente possono confrontarsi con allievi privi di esperienza teatrale, che possono cercare – attraverso uno scambio di emozioni, tecniche ed intimità – di lasciare un semino. Piccolo, forse invisibile. Dunque, le risorse economiche ci sono tutte! L’Europa investe affinché gli studenti possano incontrare professionisti esterni, i famosi “esperti”. Ci si sente fortunati, c’è poco da dire!
E allora perché, quando l‘esperto – d’ora in poi, per brevità chiamato “artista” – lavora ad un laboratorio teatrale a scuola, sente di essere coinvolto in una lotta in cui ha pochissime possibilità di uscire vittorioso? Perché dai Dirigenti e dai tutor l’artista sente più spesso dire «… E il saggio finale?», piuttosto che «collaboreremo affinché questo laboratorio sia un’esperienza importante per i nostri ragazzi»?. Perché il connubio tra scuola e teatro è imperfetto! Docenti e Dirigenti si mostrano agli artisti come un Leviatano, una creatura invincibile. Tutte le regole del teatro vengono spesso buttate alle ortiche: interruzioni continue dei collaboratori scolastici (non istruiti, preventivamente, a collaborare); professori che invitano l’artista a replicare nel gruppo le dinamiche della mattina, cosicché un ragazzo che non spicca nelle materie scolastiche non debba brillare nemmeno a teatro.
Ma l’artista non molla: respira e fa lo slalom tra i paletti dell’ottusità e, ancora più spesso, dell’ignoranza. L’artista crede che, nonostante tutto, i ragazzi ameranno il teatro nella sua essenza, perché sapranno riconoscerla. Nel profondo si illude: crede che, lavorando lavorando, questi suoi acerbi teatranti dimostreranno a tutti che il teatro non è la scuola, perché il teatro è un’altra cosa. Il teatro è sovversivo, educa alla libertà (da se stessi, dal proprio giudizio, da quello degli altri), spinge verso l’indipendenza dalla dottrina, accompagna la formazione di un giudizio critico. Il teatro, proprio a scuola, fa esplodere la sua forza, beffando burocrazia e pregiudizi. Pensate: un gruppo di sconosciuti che per mesi gioca, studia, lavora sull’individuo per il gruppo, al fine di creare un corpo solo. Una magia, che richiede accortezza.
Ecco, quindi, il primo punto: accortezza. Si, per i laboratori di teatro a scuola ci vuole accortezza da parte dei Dirigenti, dei docenti tutor, del personale scolastico, per tutelare l’esperienza che gli allievi si predispongono a fare, affidando il loro universo di incertezze e paure ad un “maestro” che li guidi. Allora la collaborazione tra artista e scuola dovrebbe essere trasparente, basata su una fiducia nelle professionalità di entrambe le parti.
Ecco il secondo punto: professionalità… Eppure c’è chi confonde, per ingenuità o mediocrità, il teatro di professione con il teatro amatoriale: legittimi entrambi, ma c’è una bella differenza tra chi lavora dalla mattina alla sera al teatro e chi lo fa solo nelle ore libere. Vi sottoporreste ad un’operazione sapendo che al posto del chirurgo c’è uno professore di Storia medievale? Fareste riparare la vostra auto da un biologo? Affidereste l’istruzione scolastica dei vostri figli a qualcuno che dice: «Si! Faccio il professore nel tempo libero»? E perché per il teatro il discorso dovrebbe essere diverso? Tutti pretendiamo professionalità, no?
Un Dirigente, un tutor non devono temere le richieste meticolose di un artista, perché significa che ha il desiderio di compiere un percorso serio con gli alunni; un Dirigente, un tutor non possono ostinarsi nel pensare che il saggio finale debba essere l’unico obiettivo; un Dirigente, un tutor non possono pigramente credere che i ragazzi non siano all’altezza di fare seriamente il teatro a scuola. Dunque, un Dirigente, un tutor non possono concludere che il teatro a scuola possa essere realizzato da chiunque… anche da un docente. Non è così. Eppure, nella sconsiderata normativa ministeriale per la selezione di esperti esterni per progetti PON, si legge che
«La scuola può procedere seguendo tali operazioni:
- Selezione interna;
- Collaborazione plurima con altre scuole. (…)
- Selezione a evidenza pubblica. In questo caso la scelta sarà subordinata ad una procedura di selezione interna con esito integralmente negativo o con attestazione solo parziale del reperimento delle professionalità richieste.
- Designazione diretta da parte degli organi collegiali».
“La scelta sarà subordinata ad una procedura di selezione interna con esito integralmente negativo”… insomma, prima degli esperti, i non esperti. Per capirci: se Eduardo De Filippo avesse richiesto di candidarsi come esperto esterno ad un bando PON per il teatro nella stessa gara in cui si fosse candidata un’insegnante di lettere, la candidatura di De Filippo non sarebbe neanche stata valutata!
Non è una battaglia contro i professori, che hanno mille meriti, ma una battaglia per il teatro:
Caro professore,
nella mia vita ti ho incontrato molte volte come studentessa, altre volte come attrice, altre ancora come esperto di teatro. Io, caro professore, ti ringrazio per quello che sei riuscito a trasmettermi. Ti ringrazio per aver lottato contro la frustrazione, la delusione, l’abitudine e avermi reso partecipe di una storia più grande di me. Caro professore, ho bisogno di farti una confessione: mi dispiace che la scuola italiana non sia più il fiore all’occhiello della nostra struttura culturale; che tu, come essere umano e professionista, sia ormai ridotto a subire le invettive dei superiori, dei Ministri delle tante mai realizzate Buone scuole; ma, se ancora ti ricordi di me, di quando ero solo uno dei tuoi tanti studenti che tra i corridoi rimproveravi per la troppa vivacità e la mancanza d’ordine, ascoltami: lascia che il sipario si alzi anche su di te. Lascia che il Teatro e chi lo professa ti avvolga e ti renda partecipe di un processo straordinario. Lascia che il Teatro ti apra gli occhi su un mondo in cui le uniche regole non sono stabilite dall’età, dallo stato sociale, da quello economico, dal titolo. Sono stabilite dal gioco che si gioca. Lasciati sedurre dal mondo in cui un povero può diventare re, in cui anche un adolescente è portatore di saggezza e conoscenza della vita, dell’amore. Lasciati bruciare da un mondo in cui il fuoco non si spegne mai.
Perché un artista ci crede, sempre.