«Sciatta quotidianità di una cucina senza storia, territorio d’incontro e di scontro dei “Due fratelli” di Fausto Paravidino. Col pubblico seduto tutt’intorno, vicino e complice. Bravi per lucida tensione, Raffaele Ausiello, Stefano Ferraro e Simona Di Maio, due fratelli ed una donna in complicata convivenza, vivono infelicità nemmeno troppo dichiarate, aggressività mal sopita ed immiserimenti dispettosi. La loro giornata è monotonia senza prospettive; il sesso e l’amore sono contorno che non allieta. La regia di Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo affida loro concretezze disperate, nevrosi sottintese, ossessioni manifeste. Applausi meritati».
(Giulio Baffi su “La Repubblica”)
«Così “in casa” giocano tanti sentimenti, come l’amore fraterno, l’amore per se stessi, l’ossessività, la pazzia, il rancore. Tutte componenti forti e altisonanti, note dal ritmo frenetico che si elevano a suono di piatti rotti, sporchi, contro il pavimento. Ogni personaggio allunga il riflesso della propria ombra nell’altro, arrivando al limite con lo scontro che porterà alla materiale eliminazione di un sentimento, di un personaggio.
“Due fratelli” è uno spettacolo sulla tragedia quotidiana, quella che si vive ogni giorno nella scatola del mondo, rapportato ad un episodio unico, si sofferma a farci pensare quanto le relazioni umani siano difficili e complicate. Nel contatto con l’altro, con il diverso, non siamo capaci di affrontare noi stessi e la comunicazione verbale spesso di trasforma in grido di guerra e in rabbia, in violenza, perché l’oppressione, quella psicologica in una società moderna dove il tempo è tutto e va consumato, è una malattia che ci schiaccia e per la quale sentiamo di dover lottare».
(Italia Santocchio su “Saltinaria”)
«Di amore non si tratta. Di amicizia, neanche. Di sesso, solo per impiegare il tempo morto. Ogni sentimentalismo è sempre sfiorato ma subito rinnegato. Di ossessione però sì. […] Plauso ai giovani attori, Raffaele Ausiello, Simona Di Maio e Stefano Ferraro, che hanno ben ammaliato e tenuto col fiato sospeso il pubblico».
(Angela Di Maso su “Il Roma”)
«La famiglia? Amore, morbosità e psicopatologie nascoste (ma non troppo). “Due fratelli” di Fausto Paravidino sembra attraversato sottotraccia dal grido di André Gide: “Famiglie! Io vi odio”. […] Geometrie esistenziali basate su una raffinata capacità dialogica, e interpretate da Raffaele Ausiello, Simona Di Maio e Stefano Ferraro, diretti da Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo».
(Natascia Festa sul “Corriere del Mezzogiorno”)
«La regia di Teatro in Fabula è funzionale agli intenti dell’autore: essenziale, mai invadente, non si perde nelle pieghe di un testo disarticolato e crudele, ma si limita a dare atto alla vicenda, appoggiandosi delicata ai caratteri dei personaggi.
I tre attori, bravi e in parte, fanno ritrovare lo spessore delle caratterizzazioni di Paravidino, si lasciano vivere dal testo procedendo spediti verso il finale, in un testa a testa clamoroso che alterna i toni sommessi di Boris a quelli viscerali e convulsi di Lev e alle battute sediziose di Erica».
(Francesco Bove su “Krapp’s Last Post”)
«Una recitazione schietta, diretta, senza fronzoli, fondata sulla rappresentazione di emozioni pure e nette, come la rabbia di Lev o la timidezza di Boris, che tuttavia gli interpreti riescono a calare in personaggi di cui si percepisce l’estrema doppiezza e complessità. La regia di Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo sa bene mettere in risalto i fili conduttori della vicenda, ricreando atmosfere cupe, claustrofobiche, in cui le azioni sono scandite ritmicamente da ticchettii che spezzano improvvisamente i silenzi. Le radici del testo si nutrono della tradizione del teatro del premio Nobel Harold Pinter, di cui si ritrova il clima opprimente, basato su una ferrea unità spaziale e su un tempo lento e cadenzato. Lo spettatore è totalmente captato da una vicenda che si presenta come rappresentazione del quotidiano, ma ha il fine di narrare le ombre di rapporti generalmente ritenuti limpidi per natura».
(Luca Errichiello su “Flanerì”)
«I due fratelli escono da una scena carpita da “Il grande fratello”! Le atrocità che sovente riempiono la cronaca nera di questi giorni o anche la mancanza dei valori alti dell’Uomo in una società che va sempre più verso un profondo declino. Verso quella lucida perdita di identità di pirandelliana e kafkiana memoria».
(Filippo Borriello su “Lapilli”)
«La scelta è chiara: s’accentua claustrofobica la chiusura d’ambiente, addobbandola colma di oggetti plausibili cosicché la stanza-prigione sia sentita comune e richiami la condizione internata, galera, repressa delle nostre stanze vissute. Rafforza questo logoro autentico la vicinanza sensibile che consente, a chi osserva, di percepire perfetto il rumore nudo del piede piantato in assito, quello ferroso di una posata poggiata su piatto, quello chetato dell’acqua che scende di gola, del labbro che brama su labbro, dell’abbraccio d’amante o fratello».
(Alessandro Toppi su “Arteatro”)
«Le nevrosi, le piccole infelicità quotidiane, l’assenza di un progetto, il declino di una società, il vuoto esistenziale, risucchiano i tre nelle spire dell’incomunicabilità. Battute rapide e stringate, intrise di tutte le tinte che possono afferirsi al genere del dramma, ma non esenti da vivaci slanci di caustica ironia».
(Rosa Vetrone su “Julie News”)